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Champagne, regno delle bollicine

24 Gennaio 2020
Champagne, regno delle bollicine
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Da l'Enologo - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

di Alberto Lupetti

A parlare del meraviglioso territorio della Champagne e dei suoi vini è stato, dal palco del 74° congresso di Assonologi, Alberto Lupetti, uno dei più grandi esperti e conoscitori di Champagne in Europa. Oggi gli stessi francesi lo ritengono fra i cinque critici più autorevoli al mondo. È uno dei due italiani ad essere stato insignito del titolo di Chamberlain dell’Ordre des Coteaux de Champagne. Il testo che segue è stato tratto dalla registrazione del suo intervento.

La Champagne vitivinicola si estende per poco più di 34.000 ettari ed è suddivisa in 280.000 parcelle. È estremamente frammentata e il vino che si produce è un prodotto di assemblaggio, nato per ragioni di necessità. Un tempo, alla fine del '600, era una regione molto più fredda di oggi e le tecniche di vinificazione erano ben altre. Riuscire a fare un vino frutto di una sola annata, tutti gli anni era impossibile (per la cronaca, il primo millesimato arriverà soltanto nel 1810).

Champagne, regno delle bollicine
Mappa della Champagne e dei paesi che la compongono

Quindi l'unico modo per "tirar fuori" un vino decente era mettere insieme delle annate che livellassero la qualità. Da qui nacque l'idea dell'assemblaggio, che all'inizio fu una necessità, mentre oggi è la sua forza. La Champagne è suddivisa in 319 Cru o villaggi, di cui 17 Grand Cru e 42 Premier Cru. Storicamente, è sempre stata rappresentata da coltivatori (vignerons) che vendevano le uve e poi producevano il vino.

Il commercio delle uve un tempo era soggetto ogni anno a variazioni di prezzo anche enormi, che a volte mettevano in sofferenza i viticoltori. Questo fatto, unito all'azione di alcuni produttori spregiudicati che iniziarono ad acquistare uve e vini fuori alla regione, porto, nel 1911 alla rivolta dei vignerons che, armati di forconi, hanno messo a "ferro e fuoco" la Champagne. Dovette intervenire l'esercito per ristabilire l'ordine. Da quel momento si decise non solo che il vino Champagne dovesse venire fatto con uve locali, ma si stabilì una scala di prezzi dove l'uva storicamente più buona veniva pagata a prezzo più alto. Quelli sarebbero stati i Gran Cru. Via via scendendo ci sarebbero stati i Premier Cru e così via. Oggi questa scala dei prezzi non esiste più perché la legislazione europea impedisce di fissare un prezzo, ma è rimasta in Champagne come scala qualitativa. Significa che, oggettivamente, uno Chardonnay Grand Cru è superiore allo Chardonnay Premier Cru.

La coltivazione del vitigno Pinot Noir nella Champagne

Tre uve si coltivano sostanzialmente in Champagne. Dico sostanzialmente, perché lo 0,3% della superficie vitata è coltivato con le cosiddette vecchie varietà: Pinot Blanc e Pinot Grigio, mentre la prima, sia per importanza sia per estensione, è il Pinot Noir con il 38% della superficie vitata. Le zone vitivinicole più importanti sono a nord, nella "montagna" di Reims (300 metri s.l.m.), e a sud nella Côte de Bar.

Un terreno più minerale e più sottile quello del Nord, più vinoso quello del Sud. Reims non è la capitale della Champagne, che invece è Châlons Salon, ma è la cittadina più importante nonché la più grande, con 200.000 abitanti. È quella dove hanno sede alcuni tra i maggiori produttori di eccellenza come Taittinger.

È la città nella cui cattedrale furono incoronati tutti i re di Francia e la città che ha sofferto maggiormente durante la Prima guerra mondiale perché fu bombardata dai tedeschi per oltre 1000 giorni e praticamente rasa al suolo.

C'è un'altra città da ricordare quando si parla di Champagne ed è Epernay, la capitale vinicola della Champagne, dove sulla Venue de Champagne risiedono diversi produttori di eccellenza a cominciate da Moët & Chandon, il più grande.

Champagne, regno delle bollicine
Bottiglie di Moët & Chandon, produttore di eccellenza di vino Champagne

Le figure dei Vignerons e dei Negociants nella Champagne

La Champagne produce circa 320 milioni di bottiglie ogni anno a firma di 4700 produttori. In Italia forse ne conosciamo 3/400, ma in realtà sono tantissimi. Occorre però dire che se lo Champagne è un vino di eccellenza non tutti questi 4700 fanno prodotti di eccellenza. Contrariamente a quanto si possa pensare, il 90% della superficie vitata in Champagne, pari a 34.000 ettari, non è in mano ai grandi, ma ai piccoli, ovvero ai vignerons. 

Quasi 16.000 vignerons possiedono anche delle parcelle piccolissime di aree ma detengono di fatto la Champagne viticola. Curiosamente però, se ci spostiamo sul mercato, questi equilibri si invertono: il 70% del mercato è in mano dei grandi produttori, che sono poco più di 300. Però esiste un equilibrio tra queste due entità, perché l'uno ha bisogno dell'altro.

Il piccolo senza il grande, non avendo i mezzi per produrre vino, non saprebbe cosa farci con quell'uva. Il grande, dovendo fare numeri, senza i piccoli non li potrebbe mai fare. Per questo funziona molto bene la Champagne e questa bizzarra suddivisione di fatto è un retaggio storico.

La Champagne è sempre stata così fin da dopo la Rivoluzione francese, quando le terre furono tolte al clero e alla nobiltà furono distribuite ai piccoli coltivatori, che avevano la propria piccola vigna e non producevano vino perché non ne avevano i mezzi tecnologici, ma vendevano le loro uve ai negozianti grandi produttori.

A metà del 1800 alcun grandi produttori hanno iniziato a comprare dei vigneti ma è comunque sempre rimasto questo equilibrio tra vignerons e negociants. Prendiamo ad esempio Moët & Chandon, il produttore più grande, con una produzione di oltre 35 milioni di bottiglie, Dom Pérignon escluso. Possiede 1360 ettari di vigna e, calcolando 10.000 bottiglie per ettaro, potrebbe arrivare a produrre 13,6 milioni di bottiglie. Quante uve deve acquistare per arrivare a produrre quel numero di bottiglie?

L'unico produttore che fa eccezione tra i grandi è Louis Roederer, che è autosufficiente per il 70%. Ma si tratta di un'eccezione che conferma la regola.

La Champagne non rappresenta che lo 0,4 per cento della superficie vitata mondiale, quindi un nulla. Però, in termini di bottiglie, rappresenta da sola il 10% di tutti i vini spumanti prodotti al mondo e ben il 36% del fatturato.

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La Champagne in Francia

Le caratteristiche del vino Champagne

Lo Champagne si discosta dal vino non tanto perché poi rifermenta in bottiglia quanto per la sua verticalità il che significa piena e assoluta compenetrazione del terroir. Lo Champagne viene solo in Champagne. Per questo non ha senso fare paragoni. Il terroir è fondamentale: il terreno, composto da pietra calcarea gessosa, il clima doppio, continentale e oceanico allo stesso tempo, con annate in cui l'uno è più prevalente rispetto all'altro e viceversa, e la tradizione cioè oltre tre secoli di messa a punto di questo metodo produttivo.

Considerate che nella regione dello Champagne siamo al limite della coltivazione della Vitis vinifera oltre il 50° parallelo.

Reims si trova al parallelo 48,5, quindi siamo davvero al limite della coltivazione della vite ma proprio questa è la forza dello Champagne, anche se ora magari il riscaldamento globale ha mischiato un po' le carte.

Il mercato dello Champagne al di fuori della Francia

Il mercato continua la sua crescita soprattutto in valore. Se andiamo a vedere il numero di bottiglie di Champagne vendute nel 2018 rispetto al 2017 rileviamo una leggerissima flessione in quantità, ma un'ulteriore crescita in fatturato che ha portato al record della Francia. Ma la cosa da vedere oltre i numeri è che dopo un secolo il mercato dell'export ha battuto quello interno.

Nel 1800 lo Champagne era un vino padrone dei mercati extra Francia. Nel corso del ventesimo secolo è diventato un vino prettamente francese. Dei 300 milioni di bottiglie mediamente prodotti,  200 milioni vengono assorbite dalla Francia. L'anno scorso per la prima volta questa tradizione si è invertita: l'export ha superato il mercato francese che dal 2007 è in costante calo.

A noi italiani, forse proprio perché produttori di vino, è sempre piaciuto lo Champagne. Dopo il record assoluto del 2007 è arrivata la crisi che ci ha fatto bere un po' meno, però piano piano stiamo crescendo. Abbiamo confermato il volume del 2017 ma siamo ben cresciuti in termini di valore. A noi italiani piace bere bene. Fino al 2007 eravamo il primo mercato al mondo per la Cuvée Prestige, la massima espressione di ogni Champagne. La crisi ci ha fatto scendere, il Giappone ci ha superato, ma possiamo comunque dire di essere il secondo mercato al mondo. Curioso notare che noi, gli Stati Uniti e il Giappone siamo i soli tre mercati dove i vignerons, quindi i piccoli produttori, hanno fatto dei volumi importanti e sono molto apprezzati. Siamo il settimo mercato dello Champagne in termini di volume e il quinto in termini di valore.

Champagne, regno delle bollicine

I diversi abbinamenti dello Champagne

Credo che lo Champagne sia il vino più longevo e versatile al mondo. Ha bisogno di tempo ed è amico del tempo. Anche un semplice non millesimato, di qualità ovviamente, nell'arco dei primi 5-6 anni continua a crescere e può arrivare, anche dopo 10 anni dal degorgement, a offrire delle bottiglie veramente importanti. Nei millesimati ovviamente questi 10 anni diventano 30, 40 o anche 50. Ho un ricordo incantevole di bottiglie originali, degorgiate dopo la fine della seconda guerra mondiale, ancora in forma strepitosa, mentre ricordo un Bollinger 1830 assaggiato nel 2016, però degorgiato l'anno prima, che ovviamente aveva perso le bollicine ma era ancora un vino vivo, lontano dall'ossidazione. Longevità, non vorrei peccare di presunzione, ma credo che non esista altro vino al mondo in grado di sposare qualsiasi umore, qualsiasi occasione, qualsiasi momento della giornata, qualsiasi pasto perché è vero, c’è lo Champagne da aperitivo, c’è lo Champagne da primo piatto e c’è perfino lo Champagne da carne rossa, che può accompagnare tranquillamente una bistecca grigliata. L'unica cosa a cui non lo dobbiamo abbinare ahimè è una cosa con cui sono cresciuto anche io da piccolo: il panettone. C'è ancora quest'idea di stappare la bottiglia di Champagne a Natale col panettone. Ecco quella è l'unica cosa che non si dovrebbe fare.

Lo Champagne non è caro, è costoso perché costa produrlo. In una bottiglia di Champagne c’è un chilo e mezzo di uva e l’uva ha un costo enorme: tra 6 e gli 8 euro al kg, a seconda del villaggio di provenienza. In una bottiglia di Champagne abbiamo un valore di oltre 10 euro soltanto di materia prima che poi va trasformata in vino e questo vino va trasformato secondo un processo che richiede 2, 3, 5, 10 anni e così via. Alla fine, lo Champagne non è assolutamente uno dei vini più cari al modo.

Pensiamo ad alcuni vini mito prodotti in quantità decente come il Cristal Rosè: 40.000 bottiglie, costo medio 450 euro; il Petrus, non ricordo quante bottiglie se ne producono, credo 30-40 mila, con un costo a bottiglia di 2200 euro; il Monfortino, anche noi abbiamo un vino che riesce a entrare nel Gotha, costa circa 1000 euro.

Senza scomodare Romanèe Conti, per il quale non bastano 6000 euro. Allora siamo sicuri che lo Champagne sia il vino che costa di più? Forse no.

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