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Il genio di Leonardo e il suo amore per la vigna

29 Aprile 2019
Il genio di Leonardo e il suo amore per la vigna
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Et però credo che molta felicità sia agli uomini che nascono dove si trovano i vini buoni“.

Leonardo da Vinci (1452-1519)


 

di Attilio Scienza e Serena Imazio

Amava il vino Leonardo. Il padre Piero, notaio fiorentino, aveva vigne a Vinci e così il nonno e lo zio. Oltre a disegnare, sui suoi Codici, il modo con cui si doveva appendere l’uva per conservarla in inverno o altre particolari riferiti alla vitivinicoltura, fu lui stesso proprietario di una vigna, in quel di Milano, a cui teneva moltissimo.

Ma perché Leonardo era così legato alla sua vigna? Cosa lo affascinava tanto?

Ma vediamo di ripercorrere questa sua passione attraverso le parole di Attilio Scienza e Serena Imazio, che alla scoperta di quella vigna hanno dedicato un lungo lavoro. Quanto segue è stato in parte tratto dal libro “La Stirpe del Vino” pubblicato a fine 2018 dagli autori.

Una Storia con la “S” maiuscola sulla vigna di Leonardo

“Siamo a Milano, corre l’anno 2010 e ci troviamo davanti al civico 65 di corso Magenta in un uggioso pomeriggio di metà ottobre. Il luogo è noto come la Casa degli Atellani, confina con il Palazzo delle Stelline, un tempo sede dell’orfanotrofio femminile (le stelline, appunto) di Milano.

È una dimora storica per la città, mantenuta con grande orgoglio dalla famiglia Castellini-Maranghi la quale, oltre a esserne proprietaria, vive ancora tra queste mura ricchissime di Storia. No, non è un errore: si tratta proprio di una storia con la S maiuscola.

Casa degli Atellani e vigna di Leonardo
La casa degli Atellani al civico 65 di Corso Magenta in cui si trova la vigna di Leonardo

Questo palazzo e il suo meraviglioso giardino, affacciato su via Zenale, erano particolarmente cari a Ludovico il Moro. I pettegolezzi del tempo raccontano che il duca di Milano incontrasse qui la sua amata Cecilia Gallerani, la dama ritratta con l’ermellino da Leonardo da Vinci.

Proprio Leonardo fu uno degli ospiti illustri della casa. Arrivato a Milano nel 1482 in cerca di lavoro, riuscì a incontrare Ludovico il Moro, che gli affidò diversi incarichi alla corte degli Sforza (molti dei quali rimarranno incompiuti). Forse per questo fu la città in cui si trattenne per più tempo e che conserva molti ricordi della presenza del geniale pittore, architetto, inventore, scultore... e viticoltore.

La Milano del 400 e la vigna di Leonardo

La Milano rinascimentale era molto diversa da quella attuale: tanti spazi oggi urbanizzati erano allora campi coltivati. Se è vero quello che ci raccontano gli antichi nomi di alcune strade del centro – come San Pietro alla Vigna, Brolo la Vigna - i vigneti dovevano essere abbastanza diffusi, tanto che il giardino della Casa degli Atellani faceva parte di una vigna.

Non sappiamo come sia andata realmente: se sia stato Leonardo a chiedere o Ludovico il Moro a dare spontaneamente in regalo il pezzo di terra (al tempo per essere cittadino milanese a tutti gli effetti era fondamentale possederne uno in città), offrendo così a Leonardo maggiori garanzie e stabilità. Comunque sia andata, Leonardo diventa proprietario di un pezzo di vigna milanese.

giardino vigna di leonardo
Giardino della Casa degli Atellani in cui si trova la vigna di Leonardo

Sarà perché la vite gli ricordava le colline toscane da cui proveniva, sarà perché era l’attività del dopolavoro (la casa degli Atellani è di fronte a Santa Maria delle Grazie, dove Leonardo abitava proprio durante il periodo in cui si dedicava all’affresco del refettorio, Il Cenacolo), sarà perché era incuriosito dal comportamento della pianta in relazione ai cambiamenti climatici che caratterizzavano quell’epoca (corsi e ricorsi!), fatto sta cha la vigna doveva dargli molte soddisfazioni, visto che si tratta di uno dei pochi beni materiali citati da Leonardo nel proprio testamento.

La vigna di Leonardo da allora a oggi

Nella Milano di oggi, non rimane (almeno in apparenza) praticamente nulla di quello che era l’ettaro donato da Ludovico Sforza a Leonardo da Vinci. Ma la vigna, o almeno una parte di essa, in verità sopravvive quasi intatta sino ai primi decenni del secolo scorso. Vuoi perché, in parte viene venduta al monastero di San Gerolamo, che la gestisce traendone risorse anche nei secoli successivi, vuoi perché la speculazione e il boom urbanistico non hanno ancora preso possesso della città.

Sta di fatto che fino al 1920 la vigna è ancora parte importante e integrante del quartiere. Un angolino, davvero un fazzoletto, che sopravvive anche all’esplosione edilizia degli anni Venti, rimanendo protetta (grazie alla sensibilità di Piero Portaluppi) all’interno del giardino della casa degli Atellani.

Qui la vigna rimane vitale nei secoli grazie alla propagazione vegetativa (per propaggine) che ne mantiene inalterato il genotipo, sino al bombardamento alleato dell’agosto 1943, quando un incendio la distrugge completamente…o forse no!!

la vigna di leonardo
La vigna di Leonardo

Se infatti la parte epigea (fusto e foglie) vengono completamente cancellati dal fuoco, la componente ipogea, le sue radici, rimangono protette dal terreno, anche per l’apporto di uno strato di detriti di circa un metro che le isola e le protegge ulteriormente.

I lavori di ricostruzione della città, e la conseguente risistemazione e rimodulazione degli orizzonti pedologici, hanno però impedito alle gemme, che si erano salvate, di germogliare e piano piano la vita si è spenta anche nelle parti della pianta che erano rimaste interrate. Ma le cellule, pur non essendo più capaci di proliferare e differenziarsi in una nuova pianta, sono comunque state custodi attente, proteggendo il loro più intimo segreto: il DNA”.

La ricostruzione della vigna di Leonardo grazie al DNA

Riuscire a dare un’indicazione, la più accurata possibile, di quale fosse il vitigno coltivato da Leonardo nella sua vigna è la missione, quasi impossibile, di un progetto che ha avuto inizio nel gennaio del 2004. L’approccio è stato multidisciplinare coinvolgendo livelli culturali diversi e complementari: genetico-molecolare e storico.

La caratterizzazione molecolare dei singoli campioni rinvenuti presso lo scavo eseguito nel giardino della dimora degli Atellani, se fine a sé stessa, avrebbe dato risultati frammentari e inconcludenti. Il confronto con varietà di vite già coltivate e note ai tempi del soggiorno di Leonardo da Vinci a Milano era essenziale per dare un nome al vitigno misterioso.

Per questo, l’attività di selezione e raccolta del materiale e di analisi molecolare è stata accoppiata, in parallelo, a una attività di analisi di fonti storiche relative alla descrizione di vitigni coltivati in epoca medievale e ad un censimento presso gli Orti Botanici, sede di Erbari, i più importanti e prestigiosi d’Italia ed Europa per valutare la consistenza delle risorse genetiche di Vitis vinifera catalogate, verificarne la data di prelievo (interessanti sarebbero stati campioni collezionati attorno al 1500-1600) ed eventualmente ottenere qualche frammento di foglia da sottoporre ad una tipizzazione molecolare e successivo confronto con il fingerprint genetico ottenuto per il vitigno di Leonardo.

Le indagini preliminari sulla vigna di Leonardo

La prima caratterizzazione è stata condotta su ventitré campioni ottenuti dallo scavo. Il DNA genomico è stato isolato ed estratto grazie ad un kit commerciale. La qualità degli estratti è stata saggiata su gel d’agarosio e questo ha permesso di verificare da quali e quanti campioni era stato possibile isolare l’acido nucleico, riducendo il numero dei campioni su cui proseguire le analisi, a diciassette.

La qualità del materiale ottenuto da questa prima estrazione, seppur soddisfacente, è sembrata in ultima analisi migliorabile, dal punto di vista quali-quantitativo. Per questo motivo si è deciso, di inserire, nel protocollo di caratterizzazione, un passaggio che ci ha permesso di arricchire la soluzione di estrazione di DNA.

dna vite
La decriptazione del DNA della vite

La tecnica individuata per ottenere un incremento nella concentrazione di DNA e migliorarne, al contempo la qualità (ad esempio riparando e ricucendo alcuni dei frammenti che l’ossidazione dell’esposizione ad agenti chimici e batterici presenti nel suolo avrebbe potuto apportare) è nota come Whole Genome Amplification (WGA).

Questa, è comunemente utilizzata sia in campo medico, sia a supporto dell’archeologia molecolare, nei casi in cui il materiale di partenza sia particolarmente scarso, o quando esso provenga da organismi vegetali e/o animali semi-fossili e venuti alla luce in seguito a scavi archeologici.

Nel nostro caso, il materiale vegetale non presentava un’età particolarmente critica (visto che tutte testimonianze e i documenti relativi alla proprietà segnalavano una continuità temporale nella presenta della vigna fino all’incendio della metà del 1900), ma l’incertezza sulle condizioni di conservazione, l’esiguità del numero di campioni che si è potuto prelevare e, non ultimo la presenza del fuoco, suggerivano la necessità di migliorarne la qualità onde evitare dati parziali e poco indicativi e/o l’ottenimento di artefatti che potessero dare indicazioni fuorvianti.

Il risultato ottenuto è stato più che soddisfacente per tutti i campioni sottoposti ad analisi e ha consentito di ottenere materiale sufficiente non solo per il genotyping completo di ogni singolo campione, ma anche di avere (per 13 campioni) una buona dote di DNA da utilizzare per la corretta identificazione della specie di appartenenza.

Se infatti il DNA era stato infine purificato e portato a concentrazioni idonee alla prosecuzione delle analisi, la certezza che si trattasse di materiale proveniente dalle radici delle viti presenti un tempo nel giardino non c’era ancora. L’assoluta certezza che i campioni appartenessero a Vitis vinifera è arrivata sottoponendoli ad analisi Barcoding*.

Sono stati sequenziati tre geni: rbcL, matK, psbA-trnH che nelle piante (nelle angiosperme in particolare) sono comunemente utilizzati per indagini di tipo filogenetico. I risultati hanno confermato l’appartenenza di tutti i campioni selezionati al genere Vitis e alla specie Vitis vinifera, scongiurando in questo modo, la selezione di materiale proveniente da altre specie (vitacee ornamentali, o americane). Conclusi questi passaggi preliminari si è proceduto all’identificazione del vitigno tramite l’utilizzo di marcatori molecolari*.

Il fingerprint della vite di Leonardo

La biologia molecolare si è rivelata, negli ultimi venti anni, uno strumento essenziale al servizio della ricerca in campo viticolo. Non solo, come accade per altre specie, nella caratterizzazione e descrizione di geni coinvolti in funzioni essenziali o nello sviluppo di patologie, ma anche per comprendere le intricatissime vicende evolutive della specie, la sua domesticazione e le modifiche che nei millenni l’uomo ha apportato al suo genoma, svelando una storia ricca e complessa, seconda per fascino e seduzione solo a quella umana.

Gli strumenti diagnostici che si è deciso di utilizzare in questo caso sono gli stessi che comunemente vengono utilizzati negli studi di identificazione e ricostruzione di pedigree: i marcatori molecolari microsatellite o SSR (Simple Sequence Repeats) Cit.BOX.

L’amplificazione e successiva elettroforesi capillare dei tredici campioni provenienti dallo scavo hanno dato risultati positivi, identici per tutti i campioni analizzati.

Costituzione del database di confronto per la vigna di Leonardo

Circa una sessantina di erbari (presso orti botanici e Musei) sono stati presi in considerazione a livello nazionale e dieci sono state le istituzioni europee coinvolte a tal fine (tra queste: i Royal Botanical Gardens di Londra-Kew, la Linnean Society, l’erbario dell’Università di Cambridge e quello dell’Università di Wageningen) Il censimento non ha però proposto spunti utili alla definizione del database. Questo probabilmente perché i campioni conservati in tutte le istituzioni sono risultati di qualche secolo successivi al periodo di interesse.

L’esiguità delle informazioni reperite dall’analisi degli Erbari, non ha influito sulla definizione delle varietà da inserire nel database, che al termine dallo studio delle fonti storiche e della letteratura scientifica prodotta in questi ultimi 15 anni, è risultato costituito da 200 varietà. Le varietà e i loro profili genetici sono state selezionate in database italiani ed europei e nell’ambito di pubblicazioni scientifiche prodotte negli ultimi 10 anni. Ma chi è entrato a far parte di questo gruppo ben nutrito ed eterogeneo? Un rapido tuffo nel passato e Trebbiani, Nebbiolo, Vernacce, Pignole e varietà affini sono entrate per prime. Del resto, sono quelle di cui si parla in tutti i testi medievali. Poi c’era Venezia che importava vini (e viti), al tempo, particolarmente gradite ai ceti più elevati, ed ecco entrare le Malvasie (che già da sole sono un gruppo ricco e variegato!!), poi tutte le varietà che al tempo si pensa potessero essere coltivate in Lombardia. Cosa quest’ultima non facile; la Lombardia è terra di confine e conquiste e molti sono i popoli che vi si sono avvicendati, ognuno portando usi, costumi e… “viti”. E finalmente tutto era pronto per capire quali fossero i gusti di Messer da Vinci in fatto di vino.

Il genio di Leonardo figura 1
Fig. 1 Rappresentazione delle distanze genetiche dei vitigni emerse dalle analisi

Nella rappresentazione grafica proposta nelle Fig. 1 e 2, le distanze lineari sono direttamente proporzionali alle distanze genetiche emerse dalle analisi. Il vitigno ignoto si trova in una posizione intermedia tra il gruppo delle Malvasie e quello dei Moscati, confermando la bontà dell’intuizione di inserire i principali vitigni aromatici nella nostra analisi in quanto rappresentativi di una particolare attitudine enologica in voga nel Basso Medioevo e particolarmente diffusa nei ceti medio altri e nel clero.

La rappresentazione grafica delle analisi di vicinanza genetica lascia poco spazio alle interpretazioni. Tra tutti i gruppi di vitigni selezionati (Malvasie, Moscati, varietà italiane del nord est e del sud est europee) il vitigno di Leonardo mostra una grande affinità con una Malvasia. In particolare, il vitigno appare particolarmente vicino a un rappresentante del gruppo delle Malvasie (cerchio rosso) che, a sua volta sembra più vicino al vitigno di Leonardo che non al suo gruppo di appartenenza iniziale. Questo vitigno è la Malvasia di Candia aromatica.

Restringendo il campo di analisi, eliminando tutti i vitigni più distanti e poco affini, si è confermata la validità dell’analisi precedente. Il nuovo gruppo di analisi è risultato essere costituito da quattro sole popolazioni oltre al vitigno di Leonardo (Malvasie, Moscati, vitigni provenienti dall’Emilia Romagna e vitigni del nord est Italia).

* Barcoding La tecnica del barcoding nasce nel 2003 da una felice intuizione del ricercatore americano Paul Hebert (CIT). L’idea di base è quella di selezionare e studiare la sequenza di quei geni che più di altri portano traccia dell’evoluzione della specie e che possono, da un lato, essere utilizzati come orologio molecolare per segnare i distacchi evolutivi che hanno dato origine ai diversi generi e specie di cui si compone la biodiversità, dall’altro, proprio grazie alla loro specificità, possano dare un’informazione estremamente precisa riguardo la specie di appartenenza dell’individuo analizzato.

* Marcatori molecolariUn marcatore molecolare è un tratto del DNA prelevato dalle cellule di un qualsiasi essere vivente. Nel caso della vite, i tessuti che vengono impiegati come donatori sono abitualmente quello fogliare o il legno dei tralci più giovani; se opportunamente processata, tuttavia, qualsiasi struttura (semi, fiori e bacche) può essere utilizzata.

di Attilio Scienza e Serena Imazio

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