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Storia dell'uva Barbera

06 Giugno 2017
Storia dell'uva Barbera
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Da l'Enologo - n°5 Maggio 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

È uno dei maggiori vitigni italiani, tra i primi 10, con 18500 ettari investiti. Simbolo della viticoltura piemontese, è coltivato in molte altre regioni, tra cui: Lombardia dove è concentrato nell’Oltrepò pavese, Emilia Romagna, specie nel piacentino, dove origina il Gutturnio, per spaziare poi dal Veneto al Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna.

La Barbera è inoltre uno dei vitigni italiani più coltivati nel mondo, in particolare lo si trova in California e in Argentina. In Italia produce 3 Docg (Barbera d’Asti, Barbera del Monferrato superiore, Nizza), 35 vini a Doc e concorre nella produzione di ben 105 Igt.

Le sfumature del Barbera
Le sfumature del Barbera

La storia del'uva Barbera

Sebbene vi siano fondate ragioni per ipotizzare la sua coltivazione in loco fin dal Medio Evo, la comparsa storiografica della Barbera è datata 1512, anno a cui risale un atto catastale del Comune di Chieri in cui se ne segnala la presenza.

Prima di allora è probabile che si descrivesse il vitigno come “grisa” o grisola” termine che accomunava il Barbera all’uva spina per la sua acidità. (Pier de Crescenzi, 1495).

Nel 1695 il Conte Francesco Cotti fece pervenire da Asti tralci di Barbera per farne “dei maglioli” da impiantare nella sua proprietà di Neive. Fatto che attesta come, alla fine del Seicento il vitigno Barbera non fosse presente nelle terre di Alba.

Nel comune di Nizza Monferrato si conserva un documento del XVII secolo che cita la presenza di Barbera. Sempre nel medesimo secolo, nelle carte del Capitolo di Casale, si testimonia l’affitto di un terreno in cui si notifica l’impegno di piantare in esso “de bonis vitibus berbexinis” riferendosi, forse, alla Barbera.

Ciò che è invece certo è che fin da subito essa divenne il vitigno utilizzato per la produzione dei vini destinati al consumo personale, iniziando così la costruzione di quel rapporto quotidiano che ne rappresenta il più profondo tratto identitario.

Diffusasi ben presto in tutto il Monferrato, l’astigiano e l’alessandrino, entrò ufficialmente nel novero dei vitigni piemontesi grazie al suo inserimento nella prima versione della “Ampelografia”, redatta nel 1798 dal Conte Nuvolone per conto della Società Agraria di Torino.

Frontespizio della Pomona Italiana di Gallesio
A sinistra: Frontespizio della Pomona Italiana
A destra: Ritratto di Gallesio

Nella “Pomona Italiana” del Gallesio, opera monumentale (1817-1839 che descrive con pregevoli immagini e testi le principali varietà di frutta e vite coltivati in Italia,), il Barbera viene citata anche come Vitis vivifera montisferratensis.

Il Conte Giuseppe di Rovasenda nella suo “Saggio di Ampelografia Universale (1877) cita la Barbera amara, la Barbera nera, la Barbera piccola, Barbera a peduncolo rosso, a peduncolo verde. Conclude affermando che tutte queste distinzioni locali devono essere abbandonate. ”io non conosco che una Barbera".

A contribuire alla conoscenza del Barbera ci pensarono anche due grandi poeti: “Generosa Barbera/bevendola ci pare/di esser soli in mare/sfidando la bufera” (Giosuè Carducci).

Giovanni Pascoli così la descrive nell'ode A Ciapin, composta per ricordare Giuseppe Galliano, morto ad Adua nel 1896: "Serba la tua purpurea Barbera/Per quando un giorno, che non è lontano/Tutto avvolto nella sua bandiera/Torni Galliano".

Sono questi gli anni in cui la Barbera conquista i mercati delle grandi città limitrofe, garantendo importanti introiti ai produttori del tempo, in attesa che la nascente ferrovia per Genova le aprisse ulteriori mercati internazionali. Una crescita commerciale a cui conseguì anche quella negli impianti, che trovò ulteriore impulso nel periodo post filossera, vista la particolare resistenza della Barbera a questa malattia.

Origini genetiche della Barbera

Oggi si è d’accordo sulla identità varietale e tutte le variazioni locali sono legate a colore o correlate a dialetti, ma si riferiscono ad unica varietà: Barbera a peduncolo rosso, Barbera a raspo verde, Barbera amaro, Barbera d’Asti, Barbera dolce, Barbera fina, Barbera grossa, Barbera nera, Barbera nostrana, Barbera vera, Barberone, Gaietto, Lombardesca, Sciaa; questi i principali “sinonimi” usati per indicare una delle varietà più versatili della viticoltura italiana. Da considerarsi menzioni locali di un'unica varietà. Le sue origini genetiche sono tuttora sconosciute. Analisi del DNA condotte sulle varietà piemontesi ci dicono che con queste ultime, il Barbera condivide ben poco.

Uva Barbera
Uva Barbera

La mancanza di documentazione sull’origine della varietà Barbera non è limitata al solo Piemonte ma riguarda tutte le regioni d’Italia. Basandosi su queste considerazioni si può ragionevolmente concludere che si tratti di una varietà probabilmente frutto di un incrocio spontaneo avvenuto chissà in quale vigneto. Quello che il DNA ha svelato è la mancanza di un legame genetico con varietà quali il Monastrell (Mourvedre), il vitigno siciliano Perricone, e il vitigno corso Sciaccarello (sinonimo di Mammolo); che erano state indicate come possibili parenti più o meno stretti del Barbera.

Caratteristiche ampelografiche dell'uva Barbera

I grappoli sono mediamente grandi, con una forma piramidale, compatta e alata. Gli acini si presentano piuttosto grandi, dalla forma ellissoidale abbastanza regolare, con una buccia dalla buona consistenza caratterizzata da una forte presenza di pruina e da un colore blu intenso. Le foglie sono anch’esse mediamente grandi, pentagonali, pentalobate e sono verde chiaro. La polpa ha un sapore e aroma neutro.

I cloni del vitigno Barbera

Dal 1980, anno in cui il CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche - omologò il primo clone di Barbera siglato ‘AT 84’, ad oggi il mondo del Barbera è radicalmente mutato grazie ad una sostanziale evoluzione del prodotto passato da vino di massa a vino di qualità con frequenti punte di eccellenza. Anche se lo storico clone AT 84 viene tuttora ampiamente moltiplicato e utilizzato per i nuovi impianti, grazie alle sue caratteristiche di buon equilibrio quanti-qualitativo, l’approccio selettivo si è evoluto negli anni in parallelo con le moderne esigenze produttive cercando di selezionare cloni le cui attitudini privilegiassero sempre più gli aspetti qualitativi rispetto a quelli quantitativi.

I cloni del Barbera
I cloni del Barbera

Tenuto conto che la selezione clonale è da considerare un importante strumento per il miglioramento delle caratteristiche del vitigno, deve essere comunque mantenuta la biodiversità, utilizzando cloni diversi all’impianto dei nuovi vigneti.

Per il vitigno Barbera bisogna riconoscere che il lavoro di selezione e risanamento fatto negli ultimi decenni è stato fondamentale per migliorare la qualità del prodotto. Infatti, ancora negli anni novanta la maggior parte delle viti di Barbera in Piemonte erano affette da virus dell’accartocciamento, con conseguenze sulla composizione del frutto: riduzione del grado zuccherino, aumento dell’acido malico, perdita di colore. Nel progetto di caratterizzazione del Barbera (Regione Piemonte, 2001) il gruppo di ricerca aveva rilevato su 40 vigneti campione il 60% di vigneti con grado di infezione dal 50 al 100%.

Il clone AT 84, del 1980, grazie alle sue ottime performance, ha rappresentato un pezzo di storia nella viticoltura piemontese ma, anche per i motivi prima ricordati, oggi la famiglia si è notevolmente ampliata grazie ad altri costitutori oltre al Centro per il Miglioramento Genetico della Vite.

Di seguito è riportato un elenco dei cloni iscritti, in grado di ottimi standard qualitativi e sanitari, con caratteristiche genetiche sempre più adeguate all’ottenimento di vini con eccellenti livelli organolettici.

Da l'Enologo - n°5 Maggio 2017 - Mensile dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani

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